16 Settembre 2020
lettura in 7 minuti

D-ateci C-oncreto A-iuto

di C. Raimondi

Liceo Classico Paolo Sarpi

All’inizio non capisci niente. Arriva come uno schiaffo in faccia. Ti ha già preso in pieno eppure lo realizzi tardi. Lo realizzi solo quando ormai la mano si è allontanata dal tuo viso e ciò che ti rimane è solo un fastidioso formicolio.

Quando hai un disturbo alimentare succede esattamente la stessa cosa. Entra nella tua vita e non te ne rendi nemmeno conto. Anzi, lo neghi, lo rinneghi perché guardarti dentro fa molto più male e allora pensi che accantonare il problema, fingere di non vederlo, equivalga a farlo svanire, risolverlo. Successivamente però la mano si allontana dal tuo viso ed ecco che riesci a prendere le distanze da te stessa. Cerchi di guardarti dall’esterno e, dopo tanto tempo, i discorsi che prima ti facevano le persone che ti amano iniziano finalmente a prendere forma. Proprio in quel momento percepisci il formicolio. Ti senti confusa, ma ora è quello stesso formicolio a riportarti con i piedi per terra quando i pensieri pesanti ti annebbiano la vista. Ti sfreghi il viso con le mani, muovi un po’ la bocca, cerchi in qualsiasi modo di far cessare quel formicolio, ma nulla da fare. Non passa. Devi aspettare. Esattamente come in questo caso.

Ci metti tutta te stessa ma ci ricadi

Ci metti tutta te stessa, ma non ti va più di rialzarti. Ci metti tutta te stessa, ma vuoi riavere lo stesso corpo di prima. Ci metti tutta te stessa, ma non vuoi bloccare l’iperattività. Allora sorge spontanea una domanda: davvero ci metti tutta te stessa? La verità è che c’è un momento in cui ti sembra di impazzire perché vuoi uscirne, ma sei ancora legata alla malattia. E poi, poi c’è un altro momento, stupendo, in cui trovi la forza di salutarla. Trovi la forza di amarti, ma soprattutto di amare la vita. Dove hai trovato questa forza? Nel tempo. Perché il tempo è veleno e medicina. Sembra distruggerti, ma in esso c’è la soluzione. Sono convinta che la maggior parte della guarigione sia frutto del tempo, ma questo periodo di emergenza mi ha permesso di aprire gli occhi mostrandomi che no, non basta aspettare e sperare. Bisogna agire e bisogna farlo ora perché non sempre abbiamo tutto il tempo che siamo convinti di avere. Questo virus ci ha mostrato la fugacità della vita che può finire da un momento all’altro, senza avvisare, senza chiedere il permesso, nel bel mezzo di una frase.

La quarantena ha completamente riazzerato il tempo della mia guarigione,

come quella di tante altre persone che soffrono di disturbi alimentari. Le nostre giornate sono scandite dai pasti, il nostro umore dipende dalla quantità di cibo assunto e dai sensi di colpa che esso comporta, dal numero di calorie bruciate di conseguenza e dall’oscillazione del peso sulla bilancia. Tutto questo in quarantena è amplificato perché nulla è in grado di distrarci o intrattenerci. È come essere in gabbia con il proprio più grande incubo. No, in realtà è peggio. Perché dentro o fuori casa il nostro più grande incubo è sempre con noi. Per il semplice motivo che il nostro problema siamo noi. Noi condannate ad essere chiuse nei nostri corpi, corpi che odiamo. Noi legate alle nostre teste giorno e notte, teste che sfornano in continuazione pensieri che ci sfondano il cranio. Noi che non riusciamo a fidarci degli altri, ma non possiamo nemmeno fidarci di noi stesse. Noi che oltre a combattere la malattia, dobbiamo combattere contro i pregiudizi. Noi che soffriamo e ci sentiamo dire che “basta mangiare” e che “dobbiamo smetterla di fare i capricci” perché “c’è chi soffre davvero”.

Ora però, a nome di tutti coloro che vivono questa situazione, mi sento di dire basta! Basta pensare che sia uno scherzo! Basta pensare che ci divertiamo e che vogliamo fare “le modelle”! Basta non prenderci sul serio. Basta compatire una persona anoressica e insultarne una in sovrappeso perché “non ha autocontrollo”.

Aprite gli occhi e iniziate anche voi ad agire.

Abbiamo un problema. È difficile ammetterlo e ancor più liberarsene. Quindi aiutateci, non compiaceteci, non insultateci, ma soprattutto NON IGNORATECI! Non posso spiegarvi la paura del cibo, l’ansia che ti divora, la necessità di muoverti pur di trovare pace, la stanchezza che ti sfonda l’anima e la voglia di vivere che manca completamente. C’è qualcosa dentro di noi che si è rotto, che non funziona correttamente, ma non so spiegarvi esattamente cosa. Potrei scrivere un intero libro, come tanti altri prima di me hanno fatto, ma non è questo il mio obiettivo perché io non vi sto chiedendo di capire cosa viviamo ogni giorno. Vi sto chiedendo di pensare prima di parlare, ma sopratutto di ascoltarci senza sminuirci. Bisogna parlare dei disturbi alimentari, delle liste di attesa infinite, dei pochi centri, delle risorse insufficienti, dei medici che fanno tutto quello che possono, ma che da soli non possono fare tutto. È importante non permettere che nel 2020 esistano ancora argomenti tabù, ma soprattutto è importante che si comprenda la serietà di queste malattie: le malattie mentali.  I disturbi mentali sono tanto seri quanto quelli fisici ed esigono di essere curati. A chi soffre di cancro vengono garantite cure fin da subito affinché ci sia la possibilità di salvare il malato in tempo e il prima possibile. Chi soffre di un disturbo alimentare, invece, deve peggiorare prima di essere aiutato. I disturbi alimentari esistono e sono una malattia tanto seria quanto il cancro.  Sento di poter dire che sono estremamente sottovalutati dal momento che, nonostante due milioni di persone in Italia ne soffrano e i casi aumentino di 8500 all’anno, raramente se ne parla.  È importante parlare di questo perché, che ci crediate o meno, di disturbi alimentari si muore e non tra un anno, non domani, bensì oggi. Sono, infatti, secondo i dati dell’ISTAT una tra le principali cause di morte tra i giovani nel nostro Paese.

Questo periodo di emergenza ci ha obbligati a fermarci e riflettere su noi stessi e sulle nostre vite.

Ora tutto sta ricominciando perché si ha fretta di “tornare alla vita di prima”. La verità è che, indietro, non si può tornare, ma si può andare avanti e lo si può fare con una consapevolezza diversa.  Cambiamo. Cambiamo da oggi, anzi, da adesso. Cerchiamo di ripartire più forti di prima e di salvare chi, da questa quarantena, è stato travolto e non ha la forza di ripartire. Vi chiedo di guardarvi attorno e di aiutare gli altri come potete perché, anche senza rendervene conto, potete permettere a qualcuno di non annegare nei propri problemi. Vi chiedo quindi di essere salvagente per le persone che amate, ma soprattutto vi chiedo di non sminuire mai la sofferenza altrui perché nessun trauma merita di essere paragonato ad un altro. Se c’è bisogno di metterci la faccia, eccomi. Sono qui, sono qui che corro il rischio di essere presa per una matta pur di permettere a qualcuno di capire, conoscere o dimostrare che i disturbi alimentari (DCA) esistono e che no, non sono sinonimo di pazzia. È solo una richiesta d’aiuto, un immenso bisogno di amore. E io sono qui per chiedere aiuto, chiedere aiuto per tutti coloro che non hanno voce per farlo. Quindi apriamo i nostri occhi tutti i giorni per cambiare qualcosa nel nostro piccolo e, nel più grande, aumentiamo e miglioriamo le strutture, garantiamo un personale specializzato e competente anche e soprattutto a coloro che non possono permettersi di rivolgersi a strutture private. Cambiamo qualcosa perché tutti devono avere il diritto di essere amati e, soprattutto, curati.

C. Raimondi

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