21 Dicembre 2023
lettura in 5 minuti

Scuole da maschi, scuole da femmine?

di Bergamo per Giovani

Da tempo lo staff di Spazio Informagiovani, insieme alle Politiche per giovani del Comune di Bergamo, si interroga sugli stereotipi che condizionano le scelte scolastiche e formative e sul modo in cui queste scelte influiscano fortemente anche sulla capacità di autodeterminarsi, di progettare futuri coerenti con i propri desideri, di costruire relazioni serene con il mondo, con le sue incertezze e con le sue diversità. Sulla scia di questi pensieri, Cristina Crippa, consulente per l’orientamento e formatrice, che da tanti anni collabora con l’Informagiovani, ha voluto prendere parola. Nel pubblicare questo articolo ci posizioniamo insieme a lei e portiamo alla luce alcuni punti sui quali riteniamo necessario intervenire: perché crediamo si possa fare meglio, perché lo dobbiamo alle persone con cui ci interfacciamo nel nostro lavoro, perché crediamo che un futuro più giusto si possa costruire insieme.

Stiamo passando  giorni faticosissimi in cui la mia bolla social propone incessantemente dichiarazioni e (per fortuna) alcune riflessioni interessanti sul ruolo che dovrebbe avere la scuola nell’educazione alle relazioni, per prevenire la violenza di genere. Sono stanca di leggere cose davvero discutibili e mi sembra manchi qualche punto fondamentale su cui riflettere.

Non ho soluzioni facili come tante altre persone (che comunque non invidio), ma alcune domande e dubbi da proporre. Ne scelgo 10:

  1. Si propongono interventi nelle scuole superiori: non è un po’ troppo tardi per i ragazzi e le ragazze? Non sarebbe molto più semplice ed efficace iniziare a lavorare in modo consapevole con i bambini e le bambine?
  2. Per quali motivi a scuola in Italia ancora nel 2023 non è possibile introdurre in modo sistemico e sistematico le competenze relazionali e le relazioni tra generi, imprescindibilmente collegate all’educazione alla sessualità e all’affettività, come oggetto di lavoro? 
  3. Perché la scuola è una questione di studenti e docenti e non può essere un luogo in cui anche genitori possano trovare occasioni di crescita, accompagnamento, riflessione sul loro agire educativo? E quindi, perché non provare ad avere proposte e professionalità dedicate con un approccio preventivo, non sporadico, ma strutturale?
  4. A proposito di scuole superiori: perché nessuno mette a fuoco il tema della segregazione di genere delle scuole superiori italiane? Nessuno vede il collegamento tra la prevenzione delle relazioni violente e disfunzionali - e quindi la decostruzione della cultura patriarcale dominante - e la necessità che ragazzi e ragazze non frequentino per 5 anni ambienti di apprendimento abitati dal 90 al 100% da soli ragazzi o da sole ragazze, spesso con consigli di classe ugualmente polarizzati per genere dei/delle docenti? Che tipo di culture possono - o non possono- crescere in questi spazi monogenere, soprattutto se non sono agite né presidiate intenzionalmente, ma lasciate crescere senza un accompagnamento? Parliamo, tra l’altro, di ambienti che sono sempre anche luoghi di intersezione di molti bisogni, disagi, desideri: a volte manca davvero a livello di cultura educativa uno scambio interrelazionale. È qui che si insinuano e radicano gli stereotipi e, con loro, quelle condizioni che non permettono di interfacciarsi con le pluralità, che non favoriscono la democrazia e l’accesso a una gamma di opportunità ricca e complessa per tutte le persone. 
  5. Quindi, avere ancora oggi filiere formative a indirizzo sociale e della cura della persona totalmente femminili o indirizzi tecnici totalmente frequentati da persone socializzate al maschile, quanto incide sulla possibilità di prevenire la violenza? Quanto poco questi ambienti possono essere e sono favorevoli allo sviluppo di relazioni sane tra generi?
  6. E poi: quanto contano in tutto questo le scelte individuali e familiari? Quante di queste scelte sono scelte autodeterminate e quante, invece, sono condizionate da stereotipi? Considerando anche che spesso nessuno accompagna ragazzi e ragazze a riconoscere gli stereotipi, a decostruirli, ad alleggerire il peso che possono avere nei loro progetti di vita. Possiamo provare a parlare davvero in termini di emancipazione, fiducia in sé, capacità di tollerare la frustrazione, accettare la propria natura e scegliere la propria cultura?
  7. Perché non si pone il problema di come riorganizzare il sistema scolastico (secondario e non solo) per mettere al centro la qualità dell’ambiente di apprendimento (del setting formativo) e per provare a favorirne il potenziamento, anche contrastando i fenomeni di segregazione?
  8. Perché le figure genitoriali ed educative (ma, spesso, anche studenti e giovani) fanno fatica a riflettere sul significato che può avere o non avere frequentare una “scuola da maschi” o una “scuola da femmine”? 
  9. Questo momento di attenzione forte dell’opinione pubblica e dei media sui temi che riguardano educazione, scuola, violenza di genere potrebbe essere fertile per proporre iniziative che stimolino la comprensione, lo svelamento degli stereotipi, le possibilità di agire concretamente nel promuovere comportamenti, modelli e relazioni sane tra persone.
  10. Mi rendo conto di avere usato una micro-lingua pedagogica: ho scelto di farlo perché sono convinta che pensare e cambiare la scuola siano agiti che richiedono approcci, competenze e cultura pedagogica, oltre che capacità di integrare uno sguardo olistico e contributi multidisciplinari.
Bergamo per Giovani

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